Juve – Bologna, basterebbe dire solo questo. Sono quelle partite che senti, che vivi, in maniera diversa, se sei bolognese soprattutto. Ma anche se bolognese non lo sei ma senti di esserlo, in un modo o in un altro. Vai lì, sei sfavoritissimo, non hai nulla da perdere. Quello che conta è esserci e dare il meglio, crederci, sperare, lottare, sudare, sporcarsi di fango e bile. Vincere è trascendenza. Lottare è destino. Non ci si gioca lo scudetto o una coppa. È questione più terra terra.
Pub, sala piena e ben divisa tra gobbi e bolognesi. Poi ci sono gli ospiti, quelli che non sono autoctoni, non tifano rossoblu ma sono profondamente antijuventini. Essere contro la vecchia bagascia è una roba che ci devi nascere. Non è che la sviluppi, la crei. È pratica istintiva di dissenso, è sete di miracolo, è fame di giustizia. Non può e non deve vincere sempre il più forte, il più ricco, il più blasonato. È voglia di stare con gli ultimi della classe quando tutti vorrebbero essere i primi. È vanità, amplesso destrutturante, guerra fine a se stessa che vuole semplicemente, onestamente, testimoniare l’altro, il distante. Esserci e vivere queste sensazioni vale una vita. Quella vita che la maggioranza delle persone, banalmente, non potrà mai assaporare. Problemi loro. Nella vita si sceglie e si capita. E a noi è capitato di scegliere di vivere da sfigati. Mai una gioia. Mai una certezza. Solo vene gonfie al collo, passione, scazzi, spiccioli contati e ricontati, scarpe rotte eppur bisogna andar. E che vi devo dire… si nasce storti e si muore piegati. È così. Prendere o lasciare. Io so che i vincenti mi stanno sul cazzo, viva gli ultimi, gli sfigati, quelli che ci sono ma non potrebbero, quelli che ci sarebbero ma non possono. Morte alla Juve. Sempre e comunque, finchè c’è fiato, vita, anima e sangue. Se poi il vincente rappresenta lo sporco, la sozzura, il torbido, l’impunito, lo spocchioso, è tutto più facile. Ti risale in gola l’acido del maldigerito senso di sopruso. Tutto più linearmente, automaticamente, giusto. Le cose o le senti o ci capiti. E se ti capita di sentire questo amaro, beh… 2 + 2 fa sempre 4 o almeno, così dovrebbe.
Pub, si diceva. Come al solito, familiarmente pub. Con le facce che vedi sempre, le voci che ti sanno di casa, la birra che è latte materno. Juve – Bologna con fede. Chiacchiere, provocazioni, sfottò, toni ora aspri ora cinicamente sarcastici. La partita è quello che è, la Juve gioca bene e attacca, il Bologna magramente arranca.
Fumare fuori, arriva gente. C’è una festa in un appartamento ma può essere che magari se ti imbuchi… ok… si forse… vediamo. “Dipende da cosa vogliono fare gli altri“, spruzzatina adolescenziale che significa “non ci vengo” ma in realtà vuole scaricare la responsabilità della scelta- non scelta su chi in quel momento non c’è perchè fa altro, vede altro. Mi viene sempre più difficile abbandonare i ciottoli sotto casa. Ancora più difficile mollare i banconi dei locali che scortano casa tua verso le ore a venire. Come due carabinieri; uno a destra, l’altro a sinistra. Parlano lingue diverse, ma la divisa è la stessa. Annegamento, familiarità, senso di appartenenza, vita.
Primo tempo 0-0, bella storia. Fosse che fosse… sigarette, chiacchiere calcistiche, scommesse andate o perse o speranzose. Sbancare. Bisognerebbe sbancare, porca troia. Avere un orgasmo in euro. Svoltare un centello o più per non cambiare nulla. Ma per fottere la vita finchè c’è tempo (che espressione trita e ritrita). E il tempo è denaro. E la vita pure. Mi scappa da bestemmiare ma me la tengo.
Secondo tempo. Terza birra media. Aria un po’ più sfatta. Il pub offre un livello di battute superiore, la gente è meno imbarazzata, emergono i tifosi. 1-0. ci sta, son più forti i gobbi anche se alla fine non sembrano invincibili. Son forti ma non sono divini. Vincono. E questo è l’amaro calice. Peccato che il Bologna testimoni solo l’esserci. Poca roba andare a Torino per sporcarsi le magliette. Anche volendo un po’ imbarazzante. Ma questo passa il convento e così sia. Toccherà ad altri donare dolore dove alberga solo stupida, inutile, noiosissima abitudine alla gloria.
Uscire per fumare again. Le donne migliori son fuori. Che è meglio così.. il calcio a volte bisognerebbe tenerlo fuori, separato, distinto. Roba da uomini e roba da femmine. Loro stanno fuori a bere e fumare e lamentarsi dei grezzoni che guardano la partita. Noi dentro a sudare e sclerare testosterone e passione per un fuorigioco. Discorso maschilista e inutile. Ma a volte è così. E così sia.
Boato dalla sala. Si corre a guardare. Sorrisi dei bolognesi. Bella pera e 1-1. Cazzo! Vuol dire che porta bene se si sta fuori. Replay, davvero un bel gollazzo ma siamo abituati al pensiero disilluso. Arriverà un rigore, un’espulsione, un fallo netto non fischiato, una prodezza da fuori area e tutto tornerà, banalmente, nella normalità. Quella normalità che vuole che c’è chi deve vincere e chi deve perdere. Chi può vincere e chi non potrebbe mai farlo se non facendo l’impresa, il miracolo, la cosa da raccontare ai nipoti. Via… si esce. A far cerchietti di fumo con le labbra, sorseggiare Agustiner medie (che dio o chi per lui l’abbia in gloria) e chiacchierare con le tipe che fa sempre bene all’anima.
Mancano 15 minuti alla fine della partita. Un quarto d’ora d’infinito. I minuti che rendono il calcio lo sport più bello del mondo. Soffri ma nello stesso tempo vorresti che questa sensazione, masochisticamente, non finisse mai. Poi torni lucido e speri che quella palla spizzata e quel rinvio imprimano un’accelerazione alle lancette, pieghino il tempo a 90, verso i 90.
Io resto fuori che forse porta bene, scaramanticamente. E chiacchiero con un orecchio alla conversazione e un orecchio al pub che non si sa mai arrivi un altro boato.
E’ Halloween ma non c’è tantissima gente in giro e per fortuna non si vede troppa ridicolaggine di vestiti e travestimenti vari. Si prospetterebbe una semplice serata nel quartiere. Bar – pub – bar a bere e ridere con gli amici di sempre. Ma è autunno, pioggia, malinconia. Un’altra serata così no… ma uscire di qui scatena sempre variabili impazzite. Quando si supera piazza Malpighi per andare in città succedono cose strane. Per questo diciamo sempre “mai abbandonare il Pratello”. Fuori, le cose prendono a vivere in maniera diversa. Non so dire perchè ma è così. Si gestisce meno. Capita di più. Boh… fuori dal Pratello non sempre il Bologna perde a Torino, matematicamente. Diciamo così: fuori dal Pratello persone come noi tirano fuori la prodezza, il colpo di genio, la stoccata, il tocco di fino che fa la differenza. Gente come noi, semplici gregari, trovano l’opportunità e la sfruttano. Prendi e la butti dentro con cinismo. Perchè fuori casa si fa così, bisogna essere pratici e lasciare il segno. Poi ci sono le serate in cui le variabili, pazze, ti portano allo sfracelo, alla disfatta più pura. In ogni caso comunque in maniera mai banale. Resta il segno sempre. Ci vuole stile anche nel perdere 4-0. E fuori dal Pratello se vieni sconfitto disastrosamente, lo fai con onore, a testa alta, e comunque ti regali e regali a chi ti sta a fianco, memorie e gesta epiche. Almeno, così pare. E poi stasera è Halloween e gente come noi i mostri li sa fare. E stasera c’è Juve – Bologna e l’epica sta sempre lì a dare una spolveratina di imprevisto o imprevedibile. Uscire dal Pratello stasera potrebbe essere meno preoccupante del solito.
Vado in bagno ma è occupato. Dal corridoio si vede la sala dove c’è il televisore, piazzato in alto. Ho la platea di tifosi e calciofili davanti, come un muro di bocche aperte, espressioni tese, tensioni malcelate. Esperienza divertente e affascinante. Prima o poi mi guarderò una partita guardando la gente che guarda la partita. Loro assorti, in un altro mondo. E tu a studiare i volti e sorridere. No no.. con l’antropologia calcistica non si va da nessuna parte. Si libera il bagno, pratico il rituale della disidratazione e torno fuori che forse porta bene. Manca poco alla fine della partita e non posso rovinare la serata agli amici bolognesi per un semplice sfizio di curiosità. Ero fuori sull’1-1 e fuori resto fino alla fine.
“Allora ci venite o no alla festa?”. Ci sono quelle persone che servono da detonatore, da miccia per far esplodere le possibilità. Io non so, non capisco, vorrei ma boh. Sono un abitudinario, un pigro, ma la serata pare veramente molto grigia e mi sta salendo voglia di vedere gente diversa, fare chiacchiere diverse, sentire voci diverse. Dalla sala sento un rumorio, mi affaccio dalla vetrata per vedere se c’è movimento ma nulla. Non sarà successo niente, non entro a controllare che magari porta male. Più passano i minuti, più la fine si avvicina e più l’irrazionale, il fideistico prende piede. Ma il calcio non è quasi mai una scienza esatta, anche se pennivendoli, giornalai e commentatori vari vogliono farcelo credere per sentirsi più esperti di un avventore qualsiasi di un qualsiasi bar sport. L’irrazionale fa colpire un palo a botta sicura, fa deviare una palla da un difensore quanto basta per prendere in controtempo il portiere, fa prendere una storta al centravanti, fa scivolare il difensore che marca la punta. Il calcio è un pallone che rotola. Una grande squadra sa che deve vincere l’avversario e reggere, incanalare e dominare il caos. Quello che gli italiani sanno benissimo quando c’è la nazionale. La sfiga e la fortuna sono sempre i capocannonieri di ogni campionato del mondo o europeo che si rispetti.
Il locale si muove all’interno e sputa fuori la massa dei tifosi per la paglia di fine partita. Esce il primo, fa una smorfia di indignazione. Ho già capito tutto. Il Bologna ha perso come era prevedibile. Ha segnato di nuovo il ragazzino ex Manchester United che promette veramente bene. Peccato che sia andato a Torino. Ma pare veramente forte. Goal negli ultimi minuti, di testa, 2-1 e tutti a casa. I bolognesi, abituati alla sconfitta, sono serenamente abbattuti. I gobbi, abituati alla vittoria, trasudano tracotanza. Sono i più forti. E stasera pare non abbiano nemmeno rubato. E vabbè… ce ne faremo una ragione. Cosa si fa, cosa non si fa, si cerca di parlare d’altro per allentare la tensione. Ma niente, i gobbi non ce la possono fare e giustamente parlano, sfottono e provocano. Un mio amico chiede 10 minuti di tregua per far sputare un po’ di veleno e promette testate ad un altro amico fraterno che in versione tifoso è quanto di più fastidioso possa esistere. Gobbo e fazioso. Il peggio del peggio.
Tempo di rifiatare e si decide di andare, valicare piazza Malpighi per cambiare aria. Ok, va bene, prendiamo una birra dal pakistano, borraccia da escursione metropolitana, e si parte. La corrente porterebbe in un locale vicino Ugo Bassi ma il genio del momento, la variabile extra pratelliana, ci fa decidere all’ultimo di cambiare rotta, prendere un autobus e andare alla festa in zona Irnerio. Con un cambio di gioco, da una fascia all’altra, si salta tutto il centrocampo che ci stava scortando. Si cambia tutto e pazienza se abbiamo di fatto bidonato mezza comitiva. Si va. Proveremo a dominare il caos, a fare la prodezza che ti fa portare a casa il risultato, a gestire la fatica per reggere l’urto, a far germogliare lampi di classe pura che resti nella memoria di qualcuno. Bisogna crederci. E se ne vada affanculo l’abitudinarietà, la pigrizia, la noia. Stasera vediamo come va. Ma bisogna far serata come si deve che domani non si lavora. E anche se il Bologna ha perso a Torino non è detto che qualcuno di noi, stasera, non faccia l’impresa.
E’ iniziata la nostra Juventus – Bologna. Ma il risultato non sarà per niente scontato.