franchino's way

23 marzo, 2021

Ciao Sante

Filed under: bologna,personalismi — ilkonte @ 1:00 PM

E ci ritrovavano lí, nella sala nascosta, perché c’eri tu.
E lí che si imparava a stare a sentire, in silenzio, perché c’era chi aveva più da dire e più da raccontare.
Lì a sbronzarsi cercando di trovare un contegno perché saper stare al mondo é un’arte che si coltiva anche in quelle situazioni.
Lì dove tutti venivano perché c’eri tu. E c’era da ascoltare, e sorridere, e incazzarsi, e prendersi per il culo, e aspettare il momento per dire la tua e sentire di aver trovato una casa.
Tra artisti e ubriaconi, cazzari e militanti, pallone e poesie, vecchi e ragazzini, turisti e residenti, eventi di beneficenza e feste meno serie.

Quanto ti abbiamo voluto bene, e quanto te ne dobbiamo.


Lì, nella sala nascosta, sono nate famiglie, amicizie fraterne, discorsi mai finiti.


Lì ci ritroveremo perché lí, anche lí, é te che ritroveremo.


Negli occhi che guardano un bicchiere vuoto, negli occhi che si guardano, negli sguardi che cercheremo da quando siamo rimasti un po’ più soli, lí dietro, da quando non c’eri più.


A continuare quei discorsi che mai finiranno.

Grazie di tutto, di cuore.

23 settembre, 2014

Il futuro è nella vecchiaia

Un mio vecchio cruccio, un argomento già trattato in questo blog. Ma, come vedrete, la realtà offre sempre spunti per poter scrivere qualcosa. E io l’ho fatto per Bolognina Basement.

Qualche anno fa le pagine dei quotidiani locali e nazionali erano riempite dalla lotta dei sedicenti comitati di residenti di alcune aree del centro storico contro il “degrado”. I comitati, composti da proprietari di casa, accusavano il comune di aver concesso troppo alla movida e alla night life dei city users provocando l’impossibilità di vivere e riposare degnamente. Probabilmente su qualcosa avevano ragione, ma l’aspetto fondamentale della disputa era prima di tutto generazionale: persone adulte o in via di invecchiamento contro giovani ventenni o in età universitaria. Vecchia Italia che ancora poteva permettersi una casa e un lavoro fisso contro futuri precari, in affitto e voglia di bere e qualche cannone in tasca.

Che poi, lasciatemi divagare un attimo, quando uno va in giro come turista fa sempre attenzione ai capitoli riguardanti la movida; non a caso si preferisce andare in Spagna piuttosto che in Slovenia o in Lettonia. Perché la movida è bella, rende divertente una visita di una città e fa molto cool e le foto di notte poi acchiappano un sacco di “mi piace”, anche senza filtri instagram. Ma solo se si va fuori. Se si sta a casa, la propria, diventa degrado, fastidio e filmini di denuncia da mandare alla stampa locale o patate lanciate dalla finestra (era forse il 2006, successe davvero in via Petroni). E pazienza per il turista tedesco che ha letto sulla Lonely Planet della famosa, fantastica, godereccia, vivace vita notturna bolognese.

Ok, questo è uno spunto polemico un po’ sterile, torniamo al discorso generazionale; si diceva che la guerra negli anni del Coffy Party (nel senso di Partito di Cofferati) era fondamentalmente tra giovani (o presunti tali) e anziani (o poco meno che tali). Alla fine, con fortune alterne, vinsero i secondi, o comunque dal punto di vista mediatico venivano visti come vittime, oggetto di simpatie e solidarietà trasversali soprattutto fuori città, lontano, dove può più un servizio de “La vita in diretta” condotto da Cucuzza di una telefonata al figlio sotto esame che dice “tutto ok, ieri sono stato in Piazza Verdi, è tutto tranquillo”.

(foto de Il Resto del Carlino)

Stamattina poi mi sono imbattuto in una notizia che sposta più in là la battaglia, alla fonte, oserei dire. A San Lazzaro pare che in alcune ore del giorno sarà vietato ai bimbi di giocare nei parchi pubblici nei pressi delle abitazioni. Niente più pallone, corse, biciclette. Niente giostrine. Niente schiamazzi. Il residente vuole riposare, l’anziano ha diritto alla salute. E buona pace ai ricordi nostalgici dei bei tempi quando i suddetti anziani giocavano a calcio in strada. Altri tempi, altre epoche. I bambini di una volta erano silenziosi, rispettosi, non gridavano ed erano tutti bianchi e con la riga a lato. E il parco della Resistenza di San Lazzaro, soprattutto, non esisteva. Una volta, signora mia, qui era tutta campagna.

Dopo la guerra ai ventenni i residenti del sobborgo bolognese colpiscono i bambini anche perché la night life a San Lazzaro fatica ancora ad attecchire, non c’è sulle guide e gli universitari sono pigri e si ostinano a voler vivere nel centro storico e fare la pipì nei caratteristici vicoletti. Quindi ci si accontenta di quello che c’è e allora bisogna educare i futuri ventenni da subito. La loro vita sarà piena di sacrifici e dovanno lavorare, zitti e muti, per pagare la pensione e il ticket ai nonni. Altrimenti la via è bella lunga, ce n’è di posti dove andare (o tornare). E niente birre la sera. Bisogna essere serissimi e sobri. Come una volta.

Bene, i residenti hanno ragione e nulla potrà la minoranza lassista di nonni che protestano contro l’ordinanza comunale perché non potranno portare i nipotini al parco. Si rassegnino anche loro, il futuro è nella vecchiaia. Nel 2011 l’Istat ci ha comunicato che nel 2043 gli ultra 65 enni arriveranno oltre il 32% della popolazione. Avremo quindi molto peso politico, saremo l’ago della bilancia. Io nel 2043 avrò 63 anni e finalmente conterò qualcosa, sarò decisivo. Sceglierò il mio partito, lo condizionerò e manderò le lettere al Carlino che farà partire delle campagne in cui IO ho ragione e i ragazzini no. E alle 20, in pieno prime time televisivo, ci saranno le pubblicità sulla doccia con la sedia dentro, lo scooter elettrico a quattro ruote e 4 marce per girare per un silenziosissimo centro storico senza rotture di coglioni e qualche bel cantiere, l’agenzia di badanti e le clinche della felicità per una vecchiaia serena, decisiva e conservatrice.

Io a 65 anni farò tendenza. Sono soddisfazioni. Il futuro è nell’anzianità. Siate vecchi già da ora, esercitatevi, provate a essere reazionari e conservatori oltre ogni decenza, ne sarete orgogliosi e avrete un futuro assicurato.

Una vecchia Italia è possibile e sarà tutta nostra.

Ora mi faccio portare in Piazza San Francesco: è mattina, si sta bene, non c’è nessuno e mi posso godere un po’ di relax senza ragazzini che rompono con le birre e questa insanissima e degradante voglia di riprodursi e sorridere sempre.

Non c’è un cazzo da ridere.

27 Maggio, 2013

Ripartire dalla A (un referendum)

Filed under: attualità,bologna,politica,sinistra — ilkonte @ 10:30 am
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A Bologna il referendum consultivo sul finanziamento pubblico alle scuole d’infanzia paritarie ha visto vincere l’opzione A, quella che ne chiedeva la cancellazione, con il 60% dei voti. L’affluenza si è fermata al 28%.

I sostenitori del quesito A non avevano nessuno alle spalle mentre l’altra opzione (quella a favore del finanziamento) vedeva tra i propri sostenitori Pd-pdl, lega, chiesa, sindacati, big della politica italiana, giornali. Il sindaco stesso, Merola, si è molto speso inviando lettere a casa dei cittadini a sostegno dell’opzione B (B come Bambini… penoso), ha girato la città, ha polemizzato aspramente con la controparte. Ovviamente i perdenti ora fanno leva sulla scarsa affluenza per cercare di sminuire il risultato, depotenziare la vittoria, mantenere le cose come sono. Operazione rischiosa e alla lunga controproducente che va a svilire l’importanza stessa di uno strumento, quello del referendum consultivo, che può e deve essere un mezzo per riavvicinare la politica alla realtà, alla concretezza delle scelte, alle necessità della quotidianità.

Penso che si tratti di un risultato politicamente importante ma non definitivo. In termini pratici, probabilmente, servirà solo ad alimentare il dibattito e spostarlo “un po’ più a sinistra”. Nel concreto “l’apparato” non permetterà alcun cambiamento e gli asili confessionali cattolici continueranno a ricevere soldi pubblici.
Qualche riflessione a caldo:
1. Il Pd, sindaco in testa, ha fatto, come detto, campagna per la B. La loro sconfitta e la forte astensione dimostrerebbe che non hanno più capacità di mobilitazione o, meglio, non sono stati in grado di sfidare e sconfiggere chi è alla loro sinistra. La “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria è bella e sepolta. E’ rimasto solo il dirigismo, il voto tradizionale e poco altro.
2. I voti andati alla A (cinquantamila circa) sono sovrapponibili con quelli che compongono (o componevano) quell’area “di sinistra” che elettoralmente da anni non ha spazio, non ha espressione, si è disperso nelle mille sigle, i mille personalismi, le mille delusioni. Dal punto di vista valoriale questo voto apre uno spiraglio: c’è vita oltre il PD, la sinistra esiste, per ritrovarla basta farle fare qualcosa “di sinistra” , appunto, sul terreno della vita reale senza leaderismi, pavoneggiamenti, deliri, inutili parole.
3. I grillini non sono andati a votare in massa? Dov’è la loro tanto celebrata “democrazia partecipativa”? Hanno mobilitato il loro elettorato o hanno fallito perchè, banalmente, non hanno un elettorato? Prendono voti sulle proteste superficiali, nel concreto non sono nulla. Chi si è rivolto a loro per “mandare tutti a kasaaa!!1!!” di fronte alla possibilità di dare un segnale senza “vaffanculo” o “son tutti uguali” non ha fatto nulla. Neve al sole.
4 L’Unità e Il Giornale avevano lo stesso titolo stamattina “referendum flop”. Povero Gramsci…
5. Pochi votanti? Meglio pochi (e vincenti) che male accompagnati.
6. Sarà interessante vedere il voto nei diversi quartieri bolognesi per capire cosa si è mosso, dove, e in che “zone socio-politiche” della città. Pare che la B abbia vinto, e di molto, solo nei quartieri “bene” di Bologna (Murri e Colli) mentre nei “quartieri rossi”, tradizionali feudi del PCI-PDS-DS-PD ci sia stata una valanga di voti per la A. La domanda allora è: il PD e l’amministrazione da loro sostenuta chi e cosa vuole continuare a rappresentare? Al momento, rappresenta ancora  qualcosa?
7. Questo voto è l’ennesima buona semina. C’è spazio da riempire di temi, valori e concretezza. Speriamo che arrivi un buon raccolto. Ma ci vuole fatica, tempo e voglia.
8. Scrivere post con un cellulare è un’esperienza che non auguro a nessuno. Non lo fate.
9. Sono pronto a ricevere insulti. Ho scritto “grillini”.

25 dicembre, 2012

Senza titolo perchè non sono in grado di trovarlo (post natalizio solo perchè è natale)

Filed under: bologna,personalismi — ilkonte @ 8:14 am
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Resuscito che è ancora buio e faccio fatica a mettere insieme un pensiero logico. Soggetto, predicato, complemento… Macchè troppo complesso. Rischio di deprimermi prima ancora di aprire veramente gli occhi. I pensieri si attorcigliano attorno al sonno che non vuole scappare, macchiato di sogni pensosi, densi, umidi di cuscino e piumone.

Caffè. Bagno. Solita routine poco impegnativa. Zero stress mentale, automatismo naturale curato e alimentato da anni e anni di risvegli di merda, di risvegli doverosi e pigri. Valigia pronta dalla sera prima (sono stato inaspettatamente previdente, mi stupisco di me), casa in disordine ordinato, così da non avere shock eccessivi al ritorno. 33 minuti e sono pronto e vestito per affrontare gli ultimi scampoli di notte, verso il viaggio.

Un cassonetto è ribaltato davanti, proprio davanti, al Barazzo. Scena da rivolta che forse non c’è stata e mai ci sarà. Fatico anche a fantasticare sulle cause del disordine imprevisto. I miei passi segnano il ritmo e sento solo quelli se non fosse per la valigia che fa da sfondo, con le rotelline che ronzano, insopportabili. Quasi chiedo scusa a Marco, l’homeless del Pratello, per il casino del mio carico di panni, ma lui resta sommerso nella coperta. Spero di non averlo svegliato.

Fa freddo, c’è umido e una nebbiolina cremosa mostra contorni sognanti a 50 –  100 metri. I passi segnano il ritmo, il ronzio alza il volume mentre accelero. Quei pochi superstiti che incontro sono figure mute, sonnolente, prese male dal poco sonno. Ma non ho voglia di chiedermi che serata hanno passato ieri e dove andranno oggi. Troppa fatica, ora. Penso a me, ai miei passi, alla stazione centrale, al treno.

Bologna. Le sue strade, un’infinita cattedrale a tre navate: troppo laica perchè non c’è dio che la consacri, se non l’essere un luogo di persone per le persone. Città di parole e volti, incontri inevitabili sotto il tetto del porticato. Città che ti costringe a guardare e guardarti nell’altro, incrociare sguardi necessari, vedere e osservare, sentire l’umanità, anche se distante. Città terrena che ti fa vedere poco cielo e tanto cammino, poche stelle e tante scarpe.

Cattedrale laica, tante volte percorsa per ritrovarmi in qualche cappella laterale a sfuggire dalla protezione dei santi per abbracciarti nella preghiera umana, troppo umana, di un bicchiere che cozza, alla ricerca di comunione col compagno di pellegrinaggio. Perchè si può pregare senza credere e trascendere, mantenendosi coi piedi a terra e i soldi in tasca, per continuare il tuo rito di presenza. E celebrare la propria vita, bella o brutta che sia. Ma vita, cazzo.

Il mio altare oggi, nella navata centrale, è il viaggio, il treno, la famiglia a tavola per il pranzo di Natale. Il ritrovare le radici e gli affetti più veri, l’amore più puro, il legame più forte. Altri cercano altri altari. Normalmente ho avuto altro da fare e banalmente ho camminato solo per raggiungere un dove.

Tornerò presto, cara Bologna. A percorrere le tue navate per cercare l’altare sulla strada. Per celebrarmi e celebrarti senza paura di peccare. Per cercarti, sfiorarti il cuore, che non raggiungerò mai. Perso tra le tue cappelle in direzione di un altare che non comparirà forse mai, come è bene che sia, come deve essere, come è sempre stato.

Mamma santa che retorica.

Vabbuò, oggi è andata così.

Buon viaggio a tutti.

2 novembre, 2012

Juve – Bologna (di variabili, filosofie di vita e altre prodezze)

Filed under: bologna,deliri controproducenti,personalismi — ilkonte @ 12:59 PM
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Juve – Bologna, basterebbe dire solo questo. Sono quelle partite che senti, che vivi, in maniera diversa, se sei bolognese soprattutto. Ma anche se bolognese non lo sei ma senti di esserlo, in un modo o in un altro. Vai lì, sei sfavoritissimo, non hai nulla da perdere. Quello che conta è esserci e dare il meglio, crederci, sperare, lottare, sudare, sporcarsi di fango e bile. Vincere è trascendenza. Lottare è destino. Non ci si gioca lo scudetto o una coppa. È questione più terra terra.

Pub, sala piena e ben divisa tra gobbi e bolognesi. Poi ci sono gli ospiti, quelli che non sono autoctoni, non tifano rossoblu ma sono profondamente antijuventini. Essere contro la vecchia bagascia è una roba che ci devi nascere. Non è che la sviluppi, la crei. È pratica istintiva di dissenso, è sete di miracolo, è fame di giustizia. Non può e non deve vincere sempre il più forte, il più ricco, il più blasonato. È voglia di stare con gli ultimi della classe quando tutti vorrebbero essere i primi. È vanità, amplesso destrutturante, guerra fine a se stessa che vuole semplicemente, onestamente, testimoniare l’altro, il distante. Esserci e vivere queste sensazioni vale una vita. Quella vita che la maggioranza delle persone, banalmente, non potrà mai assaporare. Problemi loro. Nella vita si sceglie e si capita. E a noi è capitato di scegliere di vivere da sfigati. Mai una gioia. Mai una certezza. Solo vene gonfie al collo, passione, scazzi, spiccioli contati e ricontati, scarpe rotte eppur bisogna andar. E che vi devo dire… si nasce storti e si muore piegati. È così. Prendere o lasciare. Io so che i vincenti mi stanno sul cazzo, viva gli ultimi, gli sfigati, quelli che ci sono ma non potrebbero, quelli che ci sarebbero ma non possono. Morte alla Juve. Sempre e comunque, finchè c’è fiato, vita, anima e sangue. Se poi il vincente rappresenta lo sporco, la sozzura, il torbido, l’impunito, lo spocchioso, è tutto più facile. Ti risale in gola l’acido del maldigerito senso di sopruso. Tutto più linearmente, automaticamente, giusto. Le cose o le senti o ci capiti. E se ti capita di sentire questo amaro, beh… 2 + 2 fa sempre 4 o almeno, così dovrebbe.

Pub, si diceva. Come al solito, familiarmente pub. Con le facce che vedi sempre, le voci che ti sanno di casa, la birra che è latte materno. Juve – Bologna con fede. Chiacchiere, provocazioni, sfottò, toni ora aspri ora cinicamente sarcastici. La partita è quello che è, la Juve gioca bene e attacca, il Bologna magramente arranca.

Fumare fuori, arriva gente. C’è una festa in un appartamento ma può essere che magari se ti imbuchi… ok… si forse… vediamo. “Dipende da cosa vogliono fare gli altri“, spruzzatina adolescenziale che significa “non ci vengo” ma in realtà vuole scaricare la responsabilità della scelta- non scelta su chi in quel momento non c’è perchè fa altro, vede altro. Mi viene sempre più difficile abbandonare i ciottoli sotto casa. Ancora più difficile mollare i banconi dei locali che scortano casa tua verso le ore a venire. Come due carabinieri; uno a destra, l’altro a sinistra. Parlano lingue diverse, ma la divisa è la stessa. Annegamento, familiarità, senso di appartenenza, vita.

Primo tempo 0-0, bella storia. Fosse che fosse… sigarette, chiacchiere calcistiche, scommesse andate o perse o speranzose. Sbancare. Bisognerebbe sbancare, porca troia. Avere un orgasmo in euro. Svoltare un centello o più per non cambiare nulla. Ma per fottere la vita finchè c’è tempo (che espressione trita e ritrita). E il tempo è denaro. E la vita pure. Mi scappa da bestemmiare ma me la tengo.

Secondo tempo. Terza birra media. Aria un po’ più sfatta. Il pub offre un livello di battute superiore, la gente è meno imbarazzata, emergono i tifosi. 1-0. ci sta, son più forti i gobbi anche se alla fine non sembrano invincibili. Son forti ma non sono divini. Vincono. E questo è l’amaro calice. Peccato che il Bologna testimoni solo l’esserci. Poca roba andare a Torino per sporcarsi le magliette. Anche volendo un po’ imbarazzante. Ma questo passa il convento e così sia. Toccherà ad altri donare dolore dove alberga solo stupida, inutile, noiosissima abitudine alla gloria.

Uscire per fumare again. Le donne migliori son fuori. Che è meglio così.. il calcio a volte bisognerebbe tenerlo fuori, separato, distinto. Roba da uomini e roba da femmine. Loro stanno fuori a bere e fumare e lamentarsi dei grezzoni che guardano la partita. Noi dentro a sudare e sclerare testosterone e passione per un fuorigioco. Discorso maschilista e inutile. Ma a volte è così. E così sia.

Boato dalla sala. Si corre a guardare. Sorrisi dei bolognesi. Bella pera e 1-1. Cazzo! Vuol dire che porta bene se si sta fuori. Replay, davvero un bel gollazzo ma siamo abituati al pensiero disilluso. Arriverà un rigore, un’espulsione, un fallo netto non fischiato, una prodezza da fuori area e tutto tornerà, banalmente, nella normalità. Quella normalità che vuole che c’è chi deve vincere e chi deve perdere. Chi può vincere e chi non potrebbe mai farlo se non facendo l’impresa, il miracolo, la cosa da raccontare ai nipoti. Via… si esce. A far cerchietti di fumo con le labbra, sorseggiare Agustiner medie (che dio o chi per lui l’abbia in gloria) e chiacchierare con le tipe che fa sempre bene all’anima.

Mancano 15 minuti alla fine della partita. Un quarto d’ora d’infinito. I minuti che rendono il calcio lo sport più bello del mondo. Soffri ma nello stesso tempo vorresti che questa sensazione, masochisticamente, non finisse mai. Poi torni lucido e speri che quella palla spizzata e quel rinvio imprimano un’accelerazione alle lancette, pieghino il tempo a 90, verso i 90.

Io resto fuori che forse porta bene, scaramanticamente. E chiacchiero con un orecchio alla conversazione e un orecchio al pub che non si sa mai arrivi un altro boato.

E’ Halloween ma non c’è tantissima gente in giro e per fortuna non si vede troppa ridicolaggine di vestiti e travestimenti vari. Si prospetterebbe una semplice serata nel quartiere. Bar – pub – bar a bere e ridere con gli amici di sempre. Ma è autunno, pioggia, malinconia. Un’altra serata così no… ma uscire di qui scatena sempre variabili impazzite. Quando si supera piazza Malpighi per andare in città succedono cose strane. Per questo diciamo sempre “mai abbandonare il Pratello”. Fuori, le cose prendono a vivere in maniera diversa. Non so dire perchè ma è così. Si gestisce meno. Capita di più. Boh… fuori dal Pratello non sempre il Bologna perde a Torino, matematicamente. Diciamo così: fuori dal Pratello persone come noi tirano fuori la prodezza, il colpo di genio, la stoccata, il tocco di fino che fa la differenza. Gente come noi, semplici gregari, trovano l’opportunità e la sfruttano. Prendi e la butti dentro con cinismo. Perchè fuori casa si fa così, bisogna essere pratici e lasciare il segno. Poi ci sono le serate in cui le variabili, pazze, ti portano allo sfracelo, alla disfatta più pura. In ogni caso comunque in maniera mai banale. Resta il segno sempre. Ci vuole stile anche nel perdere 4-0. E fuori dal Pratello se vieni sconfitto disastrosamente, lo fai con onore, a testa alta, e comunque ti regali e regali a chi ti sta a fianco, memorie e gesta epiche. Almeno, così pare. E poi stasera è Halloween e gente come noi i mostri li sa fare. E stasera c’è Juve – Bologna e l’epica sta sempre lì a dare una spolveratina di imprevisto o imprevedibile. Uscire dal Pratello stasera potrebbe essere meno preoccupante del solito.

Vado in bagno ma è occupato. Dal corridoio si vede la sala dove c’è il televisore, piazzato in alto. Ho la platea di tifosi e calciofili davanti, come un muro di bocche aperte, espressioni tese, tensioni malcelate. Esperienza divertente e affascinante. Prima o poi mi guarderò una partita guardando la gente che guarda la partita. Loro assorti, in un altro mondo. E tu a studiare i volti e sorridere. No no.. con l’antropologia calcistica non si va da nessuna parte. Si libera il bagno, pratico il rituale della disidratazione e torno fuori che forse porta bene. Manca poco alla fine della partita e non posso rovinare la serata agli amici bolognesi per un semplice sfizio di curiosità. Ero fuori sull’1-1 e fuori resto fino alla fine.

Allora ci venite o no alla festa?”. Ci sono quelle persone che servono da detonatore, da miccia per far esplodere le possibilità. Io non so, non capisco, vorrei ma boh. Sono un abitudinario, un pigro, ma la serata pare veramente molto grigia e mi sta salendo voglia di vedere gente diversa, fare chiacchiere diverse, sentire voci diverse. Dalla sala sento un rumorio, mi affaccio dalla vetrata per vedere se c’è movimento ma nulla. Non sarà successo niente, non entro a controllare che magari porta male. Più passano i minuti, più la fine si avvicina e più l’irrazionale, il fideistico prende piede. Ma il calcio non è quasi mai una scienza esatta, anche se pennivendoli, giornalai e commentatori vari vogliono farcelo credere per sentirsi più esperti di un avventore qualsiasi di un qualsiasi bar sport. L’irrazionale fa colpire un palo a botta sicura, fa deviare una palla da un difensore quanto basta per prendere in controtempo il portiere, fa prendere una storta al centravanti, fa scivolare il difensore che marca la punta. Il calcio è un pallone che rotola. Una grande squadra sa che deve vincere l’avversario e reggere, incanalare e dominare il caos. Quello che gli italiani sanno benissimo quando c’è la nazionale. La sfiga e la fortuna sono sempre i capocannonieri di ogni campionato del mondo o europeo che si rispetti.

Il locale si muove all’interno e sputa fuori la massa dei tifosi per la paglia di fine partita. Esce il primo, fa una smorfia di indignazione. Ho già capito tutto. Il Bologna ha perso come era prevedibile. Ha segnato di nuovo il ragazzino ex Manchester United che promette veramente bene. Peccato che sia andato a Torino. Ma pare veramente forte. Goal negli ultimi minuti, di testa, 2-1 e tutti a casa. I bolognesi, abituati alla sconfitta, sono serenamente abbattuti. I gobbi, abituati alla vittoria, trasudano tracotanza. Sono i più forti. E stasera pare non abbiano nemmeno rubato. E vabbè… ce ne faremo una ragione. Cosa si fa, cosa non si fa, si cerca di parlare d’altro per allentare la tensione. Ma niente, i gobbi non ce la possono fare e giustamente parlano, sfottono e provocano. Un mio amico chiede 10 minuti di tregua per far sputare un po’ di veleno e promette testate ad un altro amico fraterno che in versione tifoso è quanto di più fastidioso possa esistere. Gobbo e fazioso. Il peggio del peggio.

Tempo di rifiatare e si decide di andare, valicare piazza Malpighi per cambiare aria. Ok, va bene, prendiamo una birra dal pakistano, borraccia da escursione metropolitana, e si parte. La corrente porterebbe in un locale vicino Ugo Bassi ma il genio del momento, la variabile extra pratelliana, ci fa decidere all’ultimo di cambiare rotta, prendere un autobus e andare alla festa in zona Irnerio. Con un cambio di gioco, da una fascia all’altra, si salta tutto il centrocampo che ci stava scortando. Si cambia tutto e pazienza se abbiamo di fatto bidonato mezza comitiva. Si va. Proveremo a dominare il caos, a fare la prodezza che ti fa portare a casa il risultato, a gestire la fatica per reggere l’urto, a far germogliare lampi di classe pura che resti nella memoria di qualcuno. Bisogna crederci. E se ne vada affanculo l’abitudinarietà, la pigrizia, la noia. Stasera vediamo come va. Ma bisogna far serata come si deve che domani non si lavora. E anche se il Bologna ha perso a Torino non è detto che qualcuno di noi, stasera, non faccia l’impresa.

E’ iniziata la nostra Juventus – Bologna. Ma il risultato non sarà per niente scontato.

28 settembre, 2012

Stay hungry, stay foolish, stocazzo (son tutti cool col design degli altri)

Filed under: attualità,bologna,situazioni,società — ilkonte @ 2:15 PM
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Esce l’Iphone 5 e per l’occasione e non perdere l’acquisto a centinaia passano la notte davanti gli apple store per essere tra i primi, all’apertura, ad accaparrarsi l’ambito super smart phone.

 La cosa mi disgusta.

Ci tengo a precisare che la mia non è invidia sociale. Non è il fatto di poter o non poter acquistare l’oggetto che mi smuove le viscere. La cosa fastidiosa, pericolosa, è il contesto, il rito, la pazzia di massa, la schizofrenia cool che contraddistingue il fenomeno. Il problema non è il soggetto del racconto ma il come questa gente vuole che si racconti la loro esistenza e il loro rapporto feticista con l’oggetto, la modalità attraverso cui questo atto di consumo e di consumismo isterico viene auto-rappresentato dopo anni di marketing. Sono loro, i consumatori, il prodotto. Non si vende il cellulare. Si vende l’immagine e l’immaginario di gente pronta a fare una cagata del genere per acquistarlo. Geniali quelli della Apple a produrre un feeling (nel senso di rapporto sentimentale o di sentimento stesso) così estremo legato al loro marchio. Ma loro fanno capitalismo, loro fanno margine di guadagno.

Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo che vive tristemente nelle fabbriche del secondo e terzo mondo (o in Cina, che è un mondo a parte), nell’occidente viziato ma in crisi economica e politica, sottomesso ormai al fascismo dell’immaginario, diventa sfruttamento dell’oggetto sull’uomo-oggetto-prodotto-racconto. La cosa strabiliante è che questa gente si sottomette con gioia al meccanismo e alla fabbrica di consenso-consumo. Siamo al fascismo 2.0, quello friendly oriented, quello cool, quello foolish. Si passa dai dipendenti Apple costretti a fare ridicoli balletti per andare sui social network, ai consumatori stessi ritualmente inquadrati in ridicole code e scene di isteria collettiva per andare sui giornali, sui social network e produrre l’immagine dell’oggetto della contemporaneità, del futuro, delle nuove sorti dell’umanità virtuale. La fila in carne ed ossa, la materia, il sudore, i corpi, la puzza di piedi, direttamente funzionali alla virtualità di facebook, di twitter o dei giornali on line.

E io ne scrivo pure… L’unica salvezza sarebbe il suicidio virtuale, il non parlarne, il non essere parte del meccanismo di discussione. Io ne scrivo, mi incazzo, mi schifo e partecipo ugualmente al rito, partecipo alla macchina. Ma che ci posso fare. Il campo di gioco è quello e tocca giocare in trasferta, dove vincono sempre gli altri.

Ma ora però mi voglio sfogare e a questa gente auguro il peggio, senza se e senza ma.

Il 99% di questi foolish affamati li vedremo un giorno, forse, quando papà non passerà più soldi e lo stipendio non permetterà loro di comprare l’iphone 12 che sarà sicuramente troppo cool e troppo foolish. Un giorno il 99% di costoro farà le manifestazioni perchè c’è la crisi, non si può vivere dignitosamente, non ci sono prospettive, non c’è futuro e il precariato fa schifo e non si può essere manager o chirurgo o artista internazionale o critico d’arte o regista cinematografico come speravano dopo tanti “sacrifici” fatti a furia di code davanti all’apple store. Questi un giorno te li ritroverai accanto incazzati neri a fare le fotine col vecchio iphone5 che gli dura solo 30 minuti di batteria perchè è vecchio e la cosa li farà andare in bestia. Questi un giorno voteranno come te e saranno arrabbiatissimi perchè loro la crisi non la vogliono pagare, è colpa dei vecchi, dei banchieri, dei baroni universitari, della politica, delle Poste e Telegrafi, di Moggi, dell’America, del capitalismo finanziario e dell’1% del mondo contro il 99% che non ha voce in capitolo. Questi un giorno saranno il 99% contro l’1% che governa il mondo e fa la fila per l”iphone 12.

Questi un giorno saranno la forza motrice della storia contro il capitalismo rapace che si basa sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questi un giorno li prenderò a sberle… un giorno. Questi un giorno saranno le immagini derelitte dei servizi delle trasmissioni “contro”. Saranno la generazione del disincanto che non può permettersi la casa o un figlio. Questi un giorno saranno l’antipolitica e la voglia di pulizia perchè rubano tutti. Questi un giorno avranno uno stipendio basso e non potranno fare la fila.

Stay hungry, stay foolish, stay in fila (cit. M.Masotti)

P.S.

vi invito a leggere questo post di Wu Ming 1, come sempre illuminante. Buona lettura

Feticismo della merce digitale e sfruttamento nascosto: i casi Amazon e Apple

26 aprile, 2012

Il Pratello R’Esiste (e meno male che so da che parte stare)

Il 25 aprile in un quartiere, che sarà la mia casa, spero, per molto molto tempo. Amo il mio mondo. E so dove voglio stare. E con chi… soprattutto. Auguri anche a voi, che non capirete mai. Ma è un problema vostro, fidatevi. 

creiamo identità, rinsaldiamo tradizioni. pratichiamo quotidianità. r’esistere insieme. contro ogni post-ideologia, post-modernismo, criticismo tanto al chilo, nostalgismi partitici, liberopensanti peracottari, grillismi acrobatici, apoliticismi apatici, neofascismi del 3°millennio, neocomunismi alternativi, alternanze instabili, intellettualismi precari (non nel senso economico-salariale), artisticismi che “voglia di lavorare saltami addosso”, masochismi dattiloscritti, autoincensamenti iperdestabilizzanti, revisionismi pallidi, reminiscenze ataviche, maschilismi depotenziati, femminismi nostalgici, sicuritarismi castranti, libertarismi tangenti, tangenti politicizzanti, valori antistoricizzanti.

e tante altre cose dette col gusto dell’assurdo.

ho sentito palline sbattere per 5 ore.

ho la mente o troppo confusa o troppo lucida.

ma voglio bene al mio mondo.

e so che è dove voglio stare.

13 ottobre, 2009

Cinghiale (mamma mia…)

Senza parole. Anzi no. Diciamo che mi fa un po' tristezza. Bella Yuri!

Un’immagine che ha un non so che di grottesco. Diciamoci la verità. Delbono (sindaco di Bologna) in fotografia non viene poi sempre benissimo. Anche in borghese non rende, così conciato… E’ una macchietta. (Ora arriva da dietro Bombolo e je mena na pizza…. ts ts.) No. Non va bene. Signor sindaco, la prossima volta dica di no.

Comunque potrebbe anche essere un buon remake. Cinghiale, grande pennello, pensaci.

23 settembre, 2009

Il lettore pellegrino (dacci oggi il nostro fatto quotidiano)

Accelero il passo, devo superarlo. Lui se ne accorge e cerca di mantenere il vantaggio. Meno 10, 9, 8, 7, 6 metri. Si gira e mi guarda. Io lo sfido mentre faccio l’ultimo sforzo, il colpo di reni per bruciarlo sul filo di lana. Arriviamo praticamente insieme e facciamo la stessa domanda quasi in coro. Riceviamo la stessa risposta: <<mi spiace… tutto finito… me ne han date solo 10>>. Lui sembra demoralizzato. Io no. Saluto, e riparto. Devo cercare vie alternative, giocare d’astuzia. Mi getto nei vicoli, quelli meno trafficati. Alla ricerca di un fatto. Via Goito, piazza San Martino, Via Oberdan, quadrilatero. Che sfiga abitare in centro. Le strade sono sempre affollate. La gente qua ci viene a lavorare ma purtroppo, come me, ci vive pure. Siamo in troppi.

Nuovo stop. Nuova domanda. Uguale risposta. Niente, solo 10 per fermata. Riparto. C’è uno dietro di me. Chiede la stessa cosa, riceve la stessa risposta e riparte. Accelero il passo nuovamente. Ho un competitore visibile. Anche lui affamato come me. Anche lui motivato come me. E’ ormai mezz’ora che cammino e so riconoscerli. Decisi, a fare la spola tra uno stop e l’altro. Chi più, chi meno abbattuto. Tutti alla ricerca, come pellegrini. Occhio vigile a scovare concorrenti. Siamo bestie uguali nella stessa nicchia biologica. Siam messi male. Tutti speranzosi che compaia, chessò, uno strillone con la coppola in testa e le toppe sui ginocchi. Niente.

Immagino la scena. <<Quello ce l’ha!>>, urla la folla. E lui avanti a scappare inseguito dalla fame.

Nuovo stop. Nuova delusione. Devo apparire un po’ sconfortato perchè lui, dopo un’occhiata alla compagna, paterno mi fa: <<Ti consiglio di rinunciare… sarai il cinquantesimo stamattina che come te gira mezza Bologna…>>.

Tutti alla ricerca del Fatto finito. Solo 10 copie ad edicola. Tornerò da Maratona annunciando la vittoria?

Piazza Maggiore: <<Niente vero? Finito anche qui?>>. Annuisce sorridendo: <<Appena t’ho visto ho capito che eri uno alla ricerca di un Fatto!>>. <<Eh si… son giornalista (pubblicista… anche se non esercito)!>>… Battuta british da addetti ai lavori, infatti il bottegaio/edicolante non coglie. Sorrido da solo…. meglio di niente.

Vabbè, ne ho girate almeno 10, e riconosciuto o sentito altri 20 maratoneti come me… ci rinuncio. Torno dal mio edicolante di fiducia. Gli avevo promesso che mi sarei riaffacciato da lui a comprare il solito, ma solo dopo aver battuto i marciapiedi, da buon cronista, alla ricerca del Fatto. <<Allora niente vero? –  domanda vendendomi a mani vuote – Ma come si fa? Me ne volevan dare solo 5 e io ho insisitito per 10. Ma si sapeva che sarebbe andata così. Si vedeva che c’era attesa. Poi si lamentan che non hanno soldi. Sto primo numero avrebbe potuto vendere il triplo, il quadruplo di quello che han tirato. Comunque vediamo. Io ne ho da parte 4 copie che ancora non son state ritirate. Se non passano a prenderle te ne conservo una. Magari domani ti do il N° 1 e il n° 2! Per oggi ti “accontenti” del solito giornale?>>. Ma si dai… Sembra di dover comprare fumetti, francobolli, cartoline, figurine. Roba da collezionisti. Da amanti del genere. Se ne trovassi uno, (cazzo!) lo fotocopierei. Sarebbe un bel business, forse. Ho 6 Euro nel conto. Il giornale, si dice, ha in tutto 16 pagine. Ok… Provo “na botta” di conti: fai che spendo 3 cent a pagina, per 16 fa 48 centesimi a copia completa del giornale. Mi metto sotto il Nettuno e vendo le fotocopie a 80 centesimi… Guadagno poco, non ho tanto capitale da investire per poter fare una tiratura che possa permettermi un buon margine. Non ne vale la pena. Cazzo… E se lo rubassi in qualche bar? Vabbè sono al delirio.  Prima di congedarmi  dall’amico edicolante faccio il mio poco intelligente gesto di protesta: <<Dammi anche lo Stadio và… che oggi c’ho il fantacalcio>>. Me ne torno a casa da italiano medio… senza neanche un fatto in tasca. Siam messi male.

P.S.

Il pellegrinaggio di lettori famelici e il successo di questo nuovo giornale era forse previsto. Aspetti sicuramente sintomatici di un malessere diffuso, di un vuoto che quel giornale andrà sicuramente a riempire. C’è fiducia, c’è speranza. Non di andare a leggere un giornale militante ma, santoddio, un giornale. Lungi da me, quindi, intenti polemici. Ma le scene viste stamattina mi hanno divertito. Il post è nato da solo (come dimostrano anche alcune palesi sgrammaticature). E allora… Lunga vita al “Fatto”… anche se non ho il primo numero (ci sarà una prima ristampa?). Ma un domani su e-bay si troverà e avrò più di 6 euro nel conto per tentare l’asta… E’ anche vero che avrei potuto abbonarmi o semplicemente chiedere all’amico edicolante di tenermi una copia. Ho tentato l’ultima carta; mia madre. Cercherà lei per me nella gelida Pozen uno straccio di fatto. Solo per collezione.

19 settembre, 2009

Manifest’azioni (Tende in piazza in difesa della scuola pubblica)

Manifestazione originale in difesa della scuola pubblica. Iniziata ieri pomeriggio con un corteo, si è poi trasformata in una sorta di campeggio in piazza. Ieri sera spettacoli teatrali. Stamattina il risveglio e le tende da smontare. Per saperne di più leggete qui.

Qui alcune foto scattate tra la serata di ieri e la mattina di oggi… appena svegli.

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