Zanzibar, le isole, i colori, i sapori… e il turismo di massa, Italiano.
Ovunque queste taniche gialle, usate sia per la benzina, sia per l’olio da cucina, sia per l’acqua, anche se si suppone una tanica sia usata per un solo scopo alla volta, almeno per la maggior parte del tempo. E un’onnipresente fastidiosissimo rumore di motori a scoppio, un casino a volte costante a volte singhiozzante, a volte profrondo a volte quasi urlante. Polifonia schizofrenica: ecco la giusta espressione per descrivere il delirio acustico prodotto da centinaia di piccoli e grandi generatori di corrente. Da circa 50 giorni l’intero arcipelago di Zanzibar è senza corrente elettrica. Qualcuno dice che tornerà tra un mese, qualcuno dice devono aggiustare i cavi. Sicuro è che nessuno se ne interessa molto, segno che qui è la normalità. Da secoli gli abitanti di quest’isola si sono adattati a tutto pur di fare affari: l’hanno fatto nell’800 quando l’isola era il centro delle esportazioni di mezza africa verso oriente (schiavi in testa, anche se era gia fuorilegge), e lo fanno tutt’ora per ciucciare alla tetta del turismo di massa. Piano, sono troppo negativo: i 5 giorni che ho passati a Unguja, l’isola maggiore dell’arcipelago, sono stati fantastici. Ho amato le sue spiaggie, le sue foreste, le sue barriere coralline, le viuzze di stane town, la sua gente. Però.. ehehe, sono proprio un disfattista, devo sempre trovare un però. Ma come al solito andiamo con ordine: vi racconto la mia espreienza a Zanzibar.
Sabato mattina, dopo aver contrattato il prezzo per il viaggio, mi sono imbarcato sul “Seagull”, detto il traghetto lento perchè ci mette 3 ore contro le 2 degli aliscafi, ma costa 15 euro invece di 35 ed è scarsamente usato dai bianchi, quindi un amante dello slow-traveling come me non poteva lasciarselo sfuggire. Zanzibar, come sappiamo, si è unita al Tanzania solo nel 1964, dopo tra l’altro una sanguinosa rivoluzione a sfondo etnico-economico: quindi ha avuto una storia tutta parallela a quella della terraferma. Ciò si nota appena sbarcati, perchè un poliziotto ti chiede il passaporto (solo ai bianchi..perchè poi??) e ti fa compilare una di quelle carte tipo visto, anche se visto ufficialmente non te ne fanno. Ho subito trovato l’alberghetto più losco in città (senza generatore naturalmente), nonchè il piu economico: bandahari lodge, camera matrimoniale con letto a baldacchino presidenziale e bagno privato per 10 euro a notte, con vista sui cortiletto fetido dove delle donne cucinavano pessimo pesce e riso per centinaio di pescatori che facevano colazione tornando dalla pesca, cioè alle 6 di mattina. Però ero a STone Town: città decisamente affascinante, uno dei porti più vissuti nella storia dei commerci umani, con un centro che non saprei come descrivere se non come labirintico, trascurato ed antico, salsedinato, per certi versi simile a Venezia ma anche diversissimo; città decisamente arabeggiante ma anche molto africana, con sprazzi di India qui e la vicino a cattedrali cattoliche, incasinatissima nei vicoli affollati di persone, bambini vestiti di stracci, gatti randagi, monnezza, cavi della luce inutili e… Vespe, un sacco di Vespa, migliaia!!! Beh, mi sono perso decine di volte in quel labirinto, sempre più volentieri, capendoci sempre meno e trovandomi sempre da tutt’altra parte rispetto a quello che pensavo. Sono rimasto a Stone Town per quasi tre giorni: penso di aver visto molto, e devo dire che è un posto che mi ha colpito un sacco. In particolare mi hanno colpito le donne: c’è un tale intreccio di culture su quei visi, inscritto su quei corpi, commistioni indo-afro-arabe, burqua ricavati da dothi tanzaniani come da sari indiani, carnagioni di tutte le gradazioni di colore possibile, occhi truccatissimi che ti osservano da sotto a veli neri, da cui spuntano solo mani e piedi decorati di complicati henna, uniche parti del corpo che sfuggono alla coltre del pudore islamico.
Scusate, mi sono perso a pensare alle donne. Non ci sono solo quelle però: ho visto nell’interno dell’isola i campi di spezie, grande ricchezza storica di zanzibar, tutt’ora redditizia al governo tanzaniano che monopolizza le esportazioni. Sono stato a est, 2 ore di daladala da stone town, a Chwaka (leggi Ciuka), villaggio remoto di pescatori dove ero l’unico bianco, ho mangiato cocco e mango a scoppiare per 30 eurocent guardando i raccoglitori di alghe a bordo delle loro canoe, ho chiacchierato con un ragazzo del paese che parlava italiano e mi ha portato a vedere un’asta del pesce. Sono stato a Mangapwani, bella spiaggia a nord di Stone Town, sabbia bianca, acqua azzurra….. SOno stato un po dappertutto a mangiare, fingendomi un critico culinario che revisiona bettole: costa un po di più che sulla terraferma, ma con 4-5 euro si mangiano fantastrici curry di pesce, fusione anche questi di culture e spezie provenienti da un sacco di posti diversi. Poi martedi, stanco del casino della città e delle molestie dei procacciatori di affari che qui sanno essere mooooolto isistenti, ho preso un altro daldala che dopo 2 orette mi ha lasciato vicino a Kendwa, costa nord-ovest. Il paradiso: per 2 giorni sono stato in una banda (capanna di foglie di palma intrecciate) su una spiaggia da cartolina, per 13 euro a notte compresa colazione di frutta tropicale e frittelle fritte (gnamm….). Ieri mattina sono stato a fare snorkeling all’atollo di Mnemba, e penso che solo vivere in un acquario tropicale potrebbe trasmettere lo stesso feeling di colori e forme ittici. E non serve che vi dica che il sole equatoriale mi ha baciato di nuovo, confermando la superiorità quantomeno tecnica della pelle nera su quella bianca. O almeno su quella trentina. HO visto due tramonti… è assurdo come sia grande qui il sole, e come si infuochi poco prima di incontrare il mare; e come scenda veloce, e poi è subito notte: appena sparisce nell’acqua ormai grigia ti passa un brivido su per la spina dorsale, e anche l’oceano da un paio di colpi piu forti per salutarlo.
estetica romantica a parte, ora vi dico cosa non mi piace di questo posto. Primo: troppi turisti italiani, di quelli che vanno SOLO nei villaggi turistici all inclusive italiani, dove parlano SOLO italiano SOLO con altri italiani che come loro sono stato SOlO in altro villaggi turistici italiani, e in genere parlano SOLO di queste esperienze. e se sono di milano incidentalmente anche di lavoro e di tasse. Li odio, e rovinano sempre tutto. Almeno per me. Mi spiace se offendo qualcuno, ma lo giudico un tipo di turismo completamente sbagliato. E in generale questo è un posto che vive di turismo, e da quello che ho visto fin’ora quando sei in un posto così sei trattato ocme un portafoglio, non come qualcuno con cui si può parlare e magari confrontarsi. Tutti cercano di essere tuoi amici, ma solo per trascinarti da qualche parte dove c’è un loro amico che ti fa lo sconto su un prezzo gonfiatissimo ma solo perchhhe sei un amico eh?? ma chi ti conosce?? Isnomma, sono un turista che odia i turisti. La contraddizione del turismo moderno, mi si potrebbe definire.
Ora sono tornato a Dar e salaam. Tra qualche ora vado in aeroporto a dormire, perche alle 4 domattina devo fare il check-in: volo egyptair, destinazione cairo, dove arriverò verso mezzogiorno e incontrero il buon amico Abdou. Non posso manco dire che sto lasciando l’Africa, pero sto lasciando l’africa nera: certo mi spiace un sacco, ma ogni tanto è bello anche risalpare verso mari conosciuti.
Ci risentiamo dalle due cairo. per l’ultima volta, vi saluto in kiswahili: kwaherini!